Il diritto all'uso della cosa comune prevale sulle distanze solo se l'apertura è realizzata sul bene comune.
Quando l'opera che incide sul diritto di veduta viene realizzata non su un'area comune, bensì su una di proprietà esclusiva, non può trovare applicazione la norma speciale dettata dall'art. 1102 Cc.
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Le norme che vengono in rilievo in siffatta questione risultano gli artt. 1102 e 907 Cc, laddove la menzionata ultima norma prevede che, qualora si sia acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri e se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.
Allo stesso tempo, se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.
Tale assioma applicato in ambito condominiale, tuttavia, potrebbe confliggere con il richiamato art. 1102 Cc a mente del quale, ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto e, a tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
La giurisprudenza più recente e prevalente ha ritenuto che, la regola generale sulle distanze è applicabile in relazione allo spazio su cui si apre la veduta sia comune (vale a dire in comproprietà tra le parti in causa o in condominio) soltanto se compatibile con la disciplina particolare delle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la regola speciale di cui all'art. 1102 Cc (Cass. n. 1702/2018; Cass. n. 30528/2017; Cass. n. 13874/2010).
Ciò posto, quando l'opera che incide sul diritto di veduta viene realizzata non su un'area comune, bensì su una di proprietà esclusiva, quand'anche gli immobili in questione facciano parte di un fabbricato in condominio, non può trovare applicazione la norma speciale e, quindi, prevalente, dettata dall'art. 1102 Cc.
Questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 5732, pubblicata in data 27 Febbraio 2018.
I comproprietari di un appartamento in condominio convenivano in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Modena, i comproprietari di un'altra unità immobiliare ubicata nel medesimo condominio, per sentirli condannare alla rimozione di una tettoia con relativi pali di sostegno realizzata nell'area scoperta di proprietà esclusiva degli stessi, in violazione delle distanze imposte dall'art. 907 Cc.
I convenuti nel costituirsi opponevano l'applicabilità dell'art. 1102 Cc e, pertanto, l'utilizzo del bene comune.
Il Tribunale rigettava la domanda, tuttavia, a seguito del gravame interposto, la Corte d'Appello di Bologna condannava i convenuti a rimuovere la costruzione fino al rispetto della distanza legale, con condanna degli stessi al risarcimento del danno quantificato in euro 5.000,00.
Nel motivare la suddetta decisione la Corte territoriale evidenziava che il manufatto di cui si chiedeva l'arretramento era stato collocato su una proprietà esclusiva in danno di due vedute esercitate dagli attori dal loro appartamento e che, pertanto, era da escludersi l'applicabilità dell'art. 1102 Cc.
Propongono ricorso per cassazione i soccombenti, eccependo, tra l'altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 907 e 1102 Cc.
La Suprema Corte ritiene il motivo infondato, tanto è vero che <<risulta accertato in fatto che, come peraltro ammesso dallo stesso ricorrente, sebbene le due unità immobiliari dei contendenti siano ubicate in un condominio, il manufatto di cui si denuncia l'illegittimità è stato posto non su di un'area comune, ma a copertura di un'area scoperta annessa alla proprietà esclusiva del ricorrente ed a sua volta appartenente a quest'ultimo in regime di proprietà esclusiva.
Quanto al diritto di veduta di cui si lamenta la violazione, lo stesso pertiene all'appartamento in proprietà esclusiva dell'attore, il che rende evidente l'inconferenza ai fini della decisione della controversia>>, del richiamo all'art. 1102 Cc che, al contrario, risulta applicabile quando le opere lesive del diritto di veduta siano state realizzate su area comune.
Conseguentemente la soluzione della controversia deve avvenire sulla scorta del solo art. 907 Cc, in conformità della giurisprudenza più recente della Suprema Corte.
A tal proposito, infatti, <<si è affermato che (Cass. n. 955/2013) il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell'edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino, che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l'esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l'art. 907 cod. civ. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita (conf. ex multis Cass. n. 7269/2014; Cass. n. 1261/1997).>>.
Fonte: www.condominioweb.com