L'amministratore di condominio è legittimato a sottoscrivere, senza autorizzazione dell'assemblea, una dilazione di pagamento al condomino moroso?

Legittimazione dell'amministratore a transigere gli oneri condominiali

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Nell'attuale realtà economica sono sempre più numerosi i condòmini che si rivolgono all'amministratore per ottenere una dilazione di pagamento degli oneri condominiali, con scadenze più convenienti rispetto a quelle stabilite nel piano di riparto spese approvato dall'assemblea di condominio.

In pratica il condomino, che non ha saldato gli oneri condominiali alle scadenze prestabilite, propone all'amministratore di sottoscrivere un accordo bonario, c.d. "piano di rientro", con il quale si impegna ad estinguere il proprio debito, attraverso il pagamento di acconti periodici, in date concordate, ottenendo in cambio, dall'amministratore, la garanzia di non essere interessato da un procedimento monitorio, per il recupero coattivo delle quote dilazionate.

È ovvio che l'accordo per il pagamento dilazionato degli oneri condominiali dev'essere provato per iscritto, a garanzia del debitore, che adempiendo regolarmente alle scadenze indicate nel piano di rientro, scongiura il pericolo di vedersi notificare un decreto ingiuntivo.

Tale accordo, tecnicamente, è una transazione, con la quale il condomino e l'amministratore decidono di evitare il nascere della controversia giudiziale, che si avvierebbe, con l'attivazione dell'azione monitoria, da parte del condominio.

Nello specifico la transazione, ai sensi dell'art. 1965 comma 1 c.c., è un contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra di loro.

La proposta del "piano di rientro" del debito, però, implica un quesito rilevante e cioè capire se l'amministratore sia legittimato a sottoscrivere, senza autorizzazione dell'assemblea, un atto di transazione, per concedere una dilazione di pagamento, con quote e scadenze più congrue alle possibilità del condomino moroso.

La risposta al delicato quesito non è per niente scontata, in senso assoluto, né univoca, in quanto l'argomento si presta ad interpretazioni diverse. D'altronde si sa che la materia condominiale è controversa e fondata, per lo più, sui precedenti giurisprudenziali, anziché sulla legge, come se fosse un sistema separato di "common low", soprattutto perché il legislatore non intende adeguare le norme ai tempi.

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Ciò posto si osserva che l'amministratore di condominio, ai sensi dell'art. 1130 c.c., deve eseguire le deliberazioni dell'assemblea e riscuotere i contributi condominiali, nonché è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute, ai sensi dell'art. 1129 comma 9 c.c., salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea.

Peraltro l'amministratore che non riscuote le quote condominiali dai proprietari morosi è tenuto a risarcire i danni al condominio (Trib. di Salerno sent. n. 164/2016).

Quindi, per evitare accuse di mala gestio, è necessario che l'amministratore abbia attivato compiutamente la procedura giudiziaria fino, almeno, alla notifica degli atti al debitore, cioè decreto ingiuntivo e pedissequo atto di precetto (Cass. ord. Sez. III, n. 20100 del 2.09.2013).

Da quanto precede si deduce, logicamente, che l'amministratore non ha poteri decisionali, essendo un organo meramente esecutivo del condominio, a differenza all'assemblea condominiale alla quale spettano le valutazioni di merito e di opportunità riferite alle transazioni, e quindi anche agli accordi per il pagamento dilazionato degli oneri condominiali.

In definitiva l'amministratore non può travalicare i limiti stabiliti dall'assemblea condominiale e qualora concludesse una transazione senza ottenere una successiva ratifica dovrebbe restituire quanto ha speso il condominio, anche se l'accordo era vantaggioso (Trib. Milano, sent. n. 5021/2017).

Ciò significa che, in un'ottica interpretativa restrittiva, quando il moroso propone all'amministratore la sottoscrizione di una transazione, o meglio di un "piano di rientro" del debito, è bene che lo stesso amministratore convochi, prontamente, l'assemblea, con spese a carico del condomino proponente, per mettere ai voti la proposta di pagamento dilazionato e per farsi esonerare dall'obbligo di agire, in via giudiziale, contro lo stesso condomino moroso.

Con riferimento ai quorum necessari per approvare una transazione, si rileva che l'assemblea condominiale, quando non si tratta di diritti reali, può deliberare a maggioranza, in quanto l'unanimità dei partecipanti al condominio è necessaria solo quando la transazione abbia ad oggetto i diritti reali comuni (Ex multis Cass. n. 7201/2016 e Cass. n. 821/2014).

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Nello specifico, ai sensi dell'art. 1136 quarto comma c.c., per l'approvazione della transazione è richiesta la maggioranza degli intervenuti all'assemblea, che rappresenti almeno cinquecento millesimi di proprietà.

In particolare trattasi della stessa maggioranza prevista per l'approvazione di una proposta di mediazione finalizzata alla conciliazione che, ai sensi dell'art. 71-quater comma quinto disp. att. c.c., deve essere approvata dall'assemblea a maggioranza degli intervenuti rappresentanti almeno la metà del valore dell'edificio, senza che sia necessaria l'unanimità.

Pur volendo seguire la tesi restrittiva, che fa leva sull'obbligo dell'amministratore di convocare la riunione per l'approvazione del piano di rientro proposto dal moroso, non si possono trascurare alcuni aspetti significativi della prassi condominiale.

Con precisione ci si riferisce al fatto che nell'assemblea di condominio, appositamente convocata per decidere se concedere più tempo al moroso, ai fini del pagamento degli oneri condominiali, non si raggiunge quasi mai il quorum per deliberare, a causa dell'assenza dei condòmini che, per i motivi più svariati, ma soprattutto per non prendere posizioni in merito, preferiscono non partecipare alla riunione.

Ovvero, seppure si raggiunge il numero legale per deliberare, prevale quasi sempre il voto contrario di chi, pagando puntualmente e con sacrifici le quote condominiali, si dichiara indisponibile a concedere la dilazione di pagamento, anche per non creare precedenti.

D'altronde è noto che, salvo casi rari, le relazioni tra i condòmini sono caratterizzate per lo più dal conflitto, piuttosto che dalla solidarietà.

E poi il fatto di dover convocare, nel più breve tempo possibile, l'assemblea condominiale, per farsi autorizzare ogni proposta di piano di rientro, costituisce, di per sé, un ostacolo all'attività dell'amministratore professionista ed un onere economico per il condominio.

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Tali brevi considerazioni sarebbero sufficienti a giustificare l'assunzione di una decisione autonoma sul "piano di rientro", da parte dell'amministratore, che in caso di accettazione potrebbe incassare gli acconti del condomino moroso, fino alla totale soddisfazione del debito, eludendo lungaggini giudiziarie e soprattutto evitando il pagamento di un anticipo delle spese legali da parte del condominio.

In ogni caso, nella prassi, accade spesso che l'amministratore, senza alcuna autorizzazione assembleare, acconsenta alla dilazione di pagamento proposta dal moroso.

Senonché, come già accennato, l'amministratore, in assenza di una delibera condominiale che lo esoneri dall'agire in via giudiziale, per la riscossione delle quote scadute, ha l'obbligo di rivolgersi all'autorità giudiziaria per procedere, in via monitoria, contro il condomino moroso, sulla scorta del piano di riparto spese approvato dall'assemblea.

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Orbene, l'avvocato nominato dall'amministratore, dopo aver richiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo, che è "immediatamente esecutivo" ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., deve notificare al condomino moroso l'atto di precetto con il quale richiede le somme liquidate dal giudice.

Il precetto, ai sensi dell'art 480 secondo comma c.p.c., deve altresì contenere l'avvertimento che il debitore può, con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore.

Nello specifico il piano del consumatore è concesso soltanto alle "persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta".

In tal senso i condòmini sono considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività professionale od imprenditoriale (tra le altre Cass. ord. n.10086 del 2001).

La qualità di consumatori, che spetta ai singoli condomini, si estende anche al condominio - ente di gestione (Trib. Genova sent. del 14/02/2012).

Sotto tale profilo, l'amministratore di condominio, per il tramite dell'avvocato incaricato in atti, potrebbe trovarsi a dover accettare il c.d. piano del consumatore, che si fonda su difficoltà oggettive e attraverso il quale il condomino potrà rientrare del debito.

Ciò in quanto gli oneri condominiali, nel caso di una situazione in cui i debiti contratti dal condomino sono maggiori del reddito disponibile, cioè per sovraindebitamento, possono essere rateizzati, nel tentativo di rimediare all'eccessiva esposizione debitoria del condomino-consumatore.

D'altra parte è facile che il condomino sia avvolto dai debiti ed è altrettanto facile che possa pensare di uscirne con soluzioni estreme, come l'accesso ai prestiti usurari. L'intento della legge 27 gennaio 2012, n. 3, c.d. legge sul sovraindebitamento, è proprio quello di scongiurare le soluzioni estreme consentendo a pensionati, professionisti, piccoli imprenditori o piccole società artigiane, di usufruire di una procedura volta a liberarli integralmente dai debiti, anche quelli condominiali.

In questo caso nulla osta a che l'amministratore di condominio, per il tramite dell'avvocato incaricato e senza alcuna autorizzazione assembleare, acconsenta al piano del consumatore, attraverso il quale il condomino potrà rientrare del debito.

Per analogia si desume che, entro determinati limiti, l'amministratore può accettare anche un "piano di rientro" degli oneri condominiali, sul presupposto che al fine di conseguire la soluzione economicamente più conveniente per il condominio, può adottare una decisione che implica valutazioni di merito e di opportunità.

Per tali ragioni la suddetta interpretazione "restrittiva", che prevede la competenza esclusiva dell'assemblea a decidere in merito al "piano di rientro" del moroso, senza tener conto della realtà condominiale in cui è costretto ad operare l'amministratore, potrebbe essere condivisibile soltanto in un caso e cioè se il condomino chiedesse di sottoscrivere una transazione con la quale si impegna a pagare una cifra, a saldo e stralcio dei suoi debiti, per le quote condominiali non pagate.

In tal caso l'amministratore, accettando la somma a saldo e stralcio del dovuto impegnerebbe il condominio a rinunciare ad ogni altra pretesa nei confronti del condomino moroso, andando ben oltre il suo mandato e creando un danno allo stesso condominio.

In conclusione, sembra preferibile e conveniente che l'amministratore decida, in via discrezionale e con la diligenza del buon padre di famiglia, a seconda del caso, potendo accettare i piani di rientro ragionevoli e comunque nei limiti temporali del suo mandato, con la consapevolezza che se da un lato realizza il vantaggio di evitare le lungaggini legate al recupero del credito in via giudiziale, scongiurando il pericolo di essere costretto ad accettare, comunque, un piano di rientro, per eccessivo indebitamento, dall'altra deve essere cosciente che crea un precedente in condominio.

Corollario per cui, forse, è più conveniente che l'amministratore non sottoscriva alcun "piano di rientro", limitandosi soltanto a temporeggiare nell'azionare il procedimento monitorio, fintanto che il moroso versa gli acconti, in virtù di un'intesa tacita e soprattutto orale.




Fonte: www.condominioweb.com