Chi detiene animali nella propria abitazione in condizioni incompatibili con la loro natura, è responsabile penalmente
La proprietaria di un immobile è stata condannata perché aveva sottoposto 24 cani diversi a pessime condizioni.
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Abbandono di animali. Legittimo il sequestro di cani se tenuti in cattive condizioni igienico-sanitarie. La proprietaria di un immobile è stata condannata perché aveva sottoposto 24 cani diversi a pessime condizioni. "Chi detiene animali nella propria abitazione in condizioni incompatibili con la loro natura, è responsabile penalmente". Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione Penale con la sentenza n. 50635 del 7 novembre 2017 in materia di abbandono di animali.
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La vicenda. Con ordinanza, il Tribunale di Rieti rigettava la richiesta di riesame proposta nell'interesse dell'indagata Tizia con cui si censurava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP/tribunale della stessa città avente ad oggetto 24 cani e box in paleria e rete metallica nei quali erano detenuti i predetti animali dalla medesima, presso l'immobile di sua proprietà.
L'indagata Tizia, dunque, risultava indagata per i reati di cui agli articoli 349, 544 - ter cod. pen., perché, dopo aver raccolto all'interno dei box ubicati nelle pertinenze della propria abitazione, già sottoposti a sequestro nell'ambito di altro procedimento penale e quindi violando i sigilli apposti, sottoponeva i 24 cani di diverse razze, taglie, età a trattamenti che potevano provocare danni alla salute degli stessi, consistiti, tra l'altro, nell'essere legati agli alberi con catene, in pessime condizioni igienico- sanitarie.
Avverso l'ordinanza del Tribunale di Chieti, Tizia ha proposto ricorso per cassazione eccependo che l'impossibilità di commettere i reati ipotizzati in quanto, al mento del fatto, la stessa si trovava detenuta presso il carcere; difettava, dunque, il presupposto previsto dall'articolo 321 c.p.p. della "libera disponibilità della res".
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Il maltrattamento di animali. La norma in esame (art. 544 ter c.p.) prevede che "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale". Nel reato in esame, la nozione di lesione, sebbene non risulti perfettamente sovrapponibile a quella prevista dall'art. 582 c.p., implica comunque la sussistenza di un'apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell'animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia comunque diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva od omissiva (Cass. n. 32837/2013).
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Abbandono di animali. L'art. 727 c.p. prevede che "chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze". Dall'analisi della norma in commento, si evidenzia che l'abbandono si configura quando l'animale è lasciato solo, senza che nessuno si prenda cura dello stesso (come ad esempio nel periodo estivo).
Stante il delitto di maltrattamenti ex art. 544 ter c.p., la norma in esame si applica quando questo non risulti applicabile, in aggiunta alle ipotesi colpose. In argomento, dal punto di vista giurisprudenziale, è stato evidenziato che la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, prevista come reato dall'art. 727 c.p., anche nel testo vigente prima della modifica introdotta dalla l. 20 luglio 2004 n. 189 non è una contravvenzione necessariamente dolosa, in quanto può essere commessa anche per semplice colpa: quindi, il detenere animali in condizioni incompatibili con la loro natura o in stato di abbandono, tanto da privarli di cibo e acqua, è penalmente imputabile anche per semplice negligenza. (Cassazione penale sez. III 25 giugno 2014 n. 41362.
Nella specie, il reato è stato ravvisato a carico di un imputato cui era stato addebitato il fatto dell'aver tenuto il proprio cane legato a una catena corta, senza acqua né cibo, circondato da mosche, con ferite alle orecchie e in apparente stato di abbandono).
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Animali in condominio: il precedente del Tribunale di Trento 9 ottobre 2014 n. 856. La vicenda prende le mosse da una querela presentata da alcuni vicini nei confronti del padrone di un cane di grossa taglia. Il cane abbaiava continuamente creando disturbo al quiete del vicinato.
In realtà il cane versava in un vero stato di abbandono e di incuria visto che era costretto a vivere in una piccola terrazza lasciato spesso senza acqua e cibo.
Il Tribunale di Trento, ha precisato che il reato di abbandono di animali si configura anche in caso di comportamenti colposi di incuria, inerzia o indifferenza da parte del proprietario dell'animale.
Quindi la carenza di cibo, la costrizione in ambienti sporchi e non adeguati per un cane di grossa stazza sono elementi che possono portare alla condanna del proprietario per abbandono e, altresì, costituire, nel loro insieme, comportamenti di vero maltrattamento.
Nello caso di specie, il Giudice ha ravvisato anche una ipotesi dolosa nel comportamento del proprietario del cane visto che vi sono stati reiterati richiami effettuati da parte dei vicini che manifestavano un comportamento del cane anomalo ed incompatibile con la sua natura.
Il ragionamento della Corte di Cassazione. Nella vicenda in esame, era emerso cheTizia, all'atto del sequestro, era detenuta in carcere da soli venti giorni; sicché, era ragionevole presumere che gli esemplari rinvenuti nelle strutture di fortuna nello spazio antistante l'abitazione fossero stati dalla stessa immessi nei recinti ed ivi detenuti, in quelle pessime condizioni igienico - sanitarie e di salute in cui vennero trovati, ben prima che la stessa venisse ristretta in carcere.
Tali strutture, inoltre, erano state già sottoposte a sequestro nell'ambito di precedente procedimento penale in cui la stessa era stata nominata custode.
Quindi le pessime condizioni in cui vennero rinvenuti gli animali deponevano per la perduranza in loco degli stessi da data molto antecedente al sequestro ed alla detenzione in carcere dell'indagata. In argomento, gli ermellini, conformemente ai principi della giurisprudenza di legittimità, hanno precisato che "il delitto di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura di cui all'articolo 727 c.p., comma 2, ha natura di reato permanente, la cui consumazione inizia nel momento in cui l'autore del reato tiene gli animali nella condizione vietata e cessa nel momento in cui rimuove detta condizione o ne perde la disponibilità, anche per effetto del sequestro disposto dall'autorità giudiziaria (Cass. Pen. Sez. 3, n. 21460 del 03/02/2015).
Quando alle doglianze relative della presunta mancanza della "libera disponibilità" della res, a parere dei giudici, detta libera disponibilità era configurabile nel caso in esame sia perché gli animali rinvenuti si trovavano presso l'abitazione dell'indagata di cui solo ella aveva le chiavi, sia perché 12 di essi risultavano microchippatì e di sua proprietà Di conseguenza, per il tribunale del riesame, il sequestro doveva ritenersi legittimamente disposto in quanto "lasciare gli animali nell'abitazione della proposta avrebbe comportato il sicuro aggravamento delle conseguenze del reato o comunque agevolato la commissione di altri illeciti della medesima indole".
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione penale, con la pronuncia in commento, ha rigettato il ricorso; per l'effetto ha confermato l'ordinanza di sequestro.
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Fonte: www.condominioweb.com