Quando il possesso esclusivo, continuato e non contestato del pianerottolo da parte del condomino giustifica l'usucapione?
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Il pianerottolo è quella parte del fabbricato condominiale che si fa rientrare, in genere, nel concetto di “andito”, di cui all'elenco dell'art. 1117 c.c., e che costituisce, insieme alle scale, un elemento necessario alla configurazione dell'edificio suddiviso in piani (Cass. n. 15444/2007).
Ciò perché il pianerottolo, al pari delle scale, si trova in nesso di strumentalità con le parti di proprietà esclusiva (Cass. n. 11831/2011).
Pertanto il pianerottolo, che assolve ad una funzione di disimpegno, benché non sia espressamente contemplato nell'elenco di cui all'art. 1117 c.c., si presume bene condominiale, salvo che non sia destinato al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari e vi sia un titolo contrario contenuto nell'atto costitutivo del condominio (Cass. n. 22330/2009).
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Infatti, solo il titolo contrario è idoneo a sottrarre al regime di condominialità gli stessi pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti per riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale esclusivo dei proprietari di questi (Cass. n. 1776/1994).
Per tali ragioni il pianerottolo condominiale, che rappresenta l'intermezzo fra due rampe di una scala, non può essere adibito ad usi del tutto incompatibili con la sua tipica funzione di passaggio pedonale.
Nello specifico, infatti, il pianerottolo è funzionalmente destinato a consentire l'agevole passaggio da un piano all'altro dell'edificio, e non può essere trasformato in una pertinenza di fatto del proprietario dell'alloggio che vi si affaccia (Trib. Modena 22/02/2007, ord.).
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Se ne deduce che ciascun condomino, ai sensi dell'art. 1102 c.c., può usare il pianerottolo ma senza alterarne la destinazione e senza impedire agli altri condòmini di farne parimenti uso secondo il loro diritto, in quanto la facoltà di ciascun condomino di trarre una più intensa utilizzazione dalla cosa comune deve risultare comunque compatibile con i diritti degli altri (Cass. n. 21256/2009).
È ovvio, quindi, che il pianerottolo non possa essere adibito a deposito personale di oggetti, soprattutto nel caso in cui gli spazi comuni siano di ridotte dimensioni, anche perché la collocazione dei suppellettili personali nelle parti dei pianerottoli più vicine alle rampe delle scale, costringerebbe gli altri condomini a disagevoli o pericolosi movimenti, aumentando il rischio generico connesso all'utilizzazione delle stesse scale (Cass. 3376/1988).
In pratica l'uso corretto del pianerottolo dovrebbe limitarsi al posizionamento di uno zerbino di fronte alla porta dell'appartamento.
Tuttavia, nella prassi, si verifica spesso che il pianerottolo venga adibito, da parte dei condòmini, a deposito di oggetti quali, ad esempio, biciclette, passeggini, giocattoli, stendipanni, persino mobili, bombole del gas, scarpe maleodoranti e addirittura sacchetti pieni di rifiuti.
Tali indebiti comportamenti determinano un'evidente alterazione del godimento comune, e possono anche far scattare l'obbligo di risarcimento danni a carico del condomino inadempiente, come nel caso in cui venga lasciata, sistematicamente, per alcuni giorni la spazzatura sul pianerottolo (Cass. n. 5474/2011).
In proposito occorrerà stabilire la legittimità dell'utilizzo del pianerottolo da parte del singolo condomino, avendo riguardo alla necessità di assicurare a tutti i condòmini gli stessi diritti d'uso del bene comune.
Orbene esiste anche un'ipotesi di comportamento ancora più grave, che si verifica quando il condomino si impossessa, in via esclusiva, del pianerottolo condominiale, considerandolo di sua proprietà e, addirittura, impedendo il passaggio pedonale agli altri condòmini.
Tale ipotesi si realizza, di fatto, nel caso in cui il proprietario dell'appartamento dell'ultimo piano del fabbricato condominiale apponga all'estremità della rampa di scale un cancello o una porta a delimitare lo stesso pianerottolo.
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In questo caso estremo ci si domanda se il possesso esclusivo continuato e non contestato del pianerottolo, da parte del condomino, sia idoneo a giustificarne l'usucapione.
In via preliminare occorre evidenziare che la problematica in questione non gode di una interpretazione univoca da parte della giurisprudenza. Dal punto di vista normativo, la norma di riferimento è anzitutto costituita dall'art. 1158 c.c., che disciplina il c.d. usucapione ordinario, cioè l'acquisto della proprietà a titolo originario in virtù del possesso continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico del bene, per un periodo di venti anni.
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Orbene, secondo un orientamento giurisprudenziale è possibile che si verifichi l'usucapione su parti condominiali, anche se è necessario che il possesso ventennale del bene comune sia avvenuto con modalità tali da escludere in senso assoluto il godimento degli altri condòmini, senza che sia mai intervenuta alcuna diffida a sgomberare il pianerottolo, e soprattutto in modo evidente e conoscibile da parte di tutti.
Quindi, perché si verifichi l'usucapione, non è sufficiente che gli altri condòmini si siano astenuti dall'uso del bene comune, ma è necessario che il possesso esclusivo sia avvenuto in modo tale da essere incompatibile con la possibilità di godimento degli altri comproprietari.
In altri termini, i condòmini devono essere a conoscenza del fatto che sono assolutamente esclusi da ogni tipologia di legame con il bene comune posseduto a titolo esclusivo da parte del condomino, che intende usucapire lo stesso bene.
Di conseguenza bisognerà escludere la possibilità di acquisto per usucapione tutte le volte in cui il condomino interessato non sia stato in grado di fornire un'adeguata prova del possesso esclusivo del bene condominiale per il periodo utile ad usucapirlo. Ragion per cui, in presenza dei predetti requisiti, il diritto di proprietà si acquisisce ex lege, in maniera automatica, anche se per poter trascrivere tale diritto di proprietà, da parte di chi intenda usucapire, è obbligatorio esperire dapprima un tentativo di mediazione ed eventualmente, in caso di esito negativo della mediazione, sarà necessario instaurare un eventuale giudizio di accertamento dell'usucapione, chiamando in causa il condominio, in persona dell'amministratore pro-tempore.
In sede giudiziale il condomino che assume di aver acquistato per usucapione una parte comune avrà l'onere di provare che il bene, funzionalmente asservito al godimento degli altri condòmini, è in realtà collegato in via strumentale o materiale, ma anche funzionale, con la sua unità immobiliare, e tale prova potrà essere fornita anche attraverso testimoni o documenti differenti dal regolamento di condominio.
Nello specifico il condomino può usucapire il pianerottolo se dimostra di averlo sottratto all'uso comune per un periodo continuato di vent'anni, in virtù di un comportamento inequivoco, contro gli altri condòmini-compossessori ai quali ha fatto chiaramente intendere l'intenzione di possedere lo stesso pianerottolo, in qualità di proprietario esclusivo e non di semplice compossessore (Cass. n. 20039/2016).
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, a dire il vero poco condivisibile, al verificarsi delle condizioni descritte il condomino potrebbe usucapire la quota degli altri condòmini, senza che intervenga una vera e propria interversione del possesso del bene comune.
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Al contrario un altro orientamento giurisprudenziale, senz'altro più condivisibile, ha confermato che anche i pianerottoli ubicati all'ultimo piano, pur consentendo l'accesso al solo o ai soli appartamenti ivi allocati, restano di natura condominiale, in quanto sono parte integrante delle scale comuni a tutti i partecipanti al condominio (Cass. n. 18488/2010).
In pratica, come abbiamo già specificato, i pianerottoli, così come le scale, sono strutture essenziali del fabbricato condominiale e pertanto sono considerati beni comuni, ex art. 1117 c.c., anche se sono asserviti soltanto ad uno o ad alcuni dei condòmini.
Per cui anche nel condominio, che per caratteristiche strutturali abbia un pianerottolo con una sola unità abitativa, questa non è autorizzata a chiudere le scale con una porta, in quanto le scale sono beni comuni (Cass. n. 4664/2016).
Da ciò ne deriva che il condomino potrà installare un cancello o una porta sul pianerottolo e chiudere il passaggio, solo se tale ipotesi è prevista dal suo titolo di acquisto in quanto “negli edifici in condominio, le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza, ed anche se poste concretamente a servizio soltanto di talune delle porzioni dello stabile, a tutti i partecipanti alla collettività condominiale in virtù del dettato dell'art. 1117, n. 1, cod. civ.” (ex multis Cass. n. 1357/1996).
Tale principio vale anche nell'ipotesi in cui sussistano delle clausole all'interno del regolamento di condominio, favorevoli a chi intende usucapire, ciò in quanto bisogna distinguere le clausole con contenuto tipicamente regolamentare dalle clausole contrattuali, che devono essere approvate all'unanimità (Cass. n. 5657/2015).
Ragion per cui le clausole a carattere convenzionale, che incidono sulla utilizzabilità e sulla destinazione delle parti dell'edificio ed in particolare sullo stato giuridico di una cosa comune, se predisposte dall'originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto ovvero con atti separati, e se invece deliberate dall'assemblea condominiale, debbono essere approvate all'unanimità (Ex multis Cass. n. 621/1977). Di conseguenza una delibera assembleare di condominio che riconoscesse, a maggioranza, la proprietà del pianerottolo in capo al proprietario dell'appartamento dell'ultimo piano, e quindi la facoltà di chiuderlo con un cancello o una porta, integrerebbe, di per sé, una lesione del diritto di proprietà condominiale, in quanto restringerebbe in modo eccessivo e ingiustificato l'uso o il godimento delle parti comuni dell'edificio, e pertanto sarebbe da considerarsi assolutamente nulla.
D'effetto “la chiusura di una porzione di pianerottolo comune con una parte accessibile ad un solo condomino” integra la violazione del principio di cui all'art. 1102 c.c., connesso all'uso dei beni comuni, poiché la stessa chiusura sostituisce “il comune possesso della porzione in possesso esclusivo del condomino e comporta un'estensione del suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri condomini” (Corte di appello Milano n. 2520/1997).
A tal proposito occorre collegare l'istituto dell'usucapione con il principio di cui all'art. 1119 cc, in quanto, nel caso di specie, l'usucapione potrebbe interessare l'intero pianerottolo, oppure soltanto una parte dello stesso.
In caso di ammissibilità dell'usucapione parziale ne deriva una divisione del pianerottolo, laddove ai sensi dell'art. 1119 c.c. le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino.
Va da se che, essendo impossibile attuare una divisione, così non può esserci una usucapione parziale del pianerottolo che altrimenti condurrebbe al medesimo risultato, cioè la divisione del bene.
In conclusione, alla luce delle considerazioni citate, è evidente come la problematica dell'usucapione del pianerottolo, e dei beni condominiali in generale, conduca a soluzioni giurisprudenziali nettamente differenti, in vista di una casistica molto eterogenea e complessa. Perciò, è consigliabile che l'amministratore, prima che decorrano i termini previsti dalla legge per usucapire il pianerottolo, invii al condomino, che stia usucapendo tale parte comune, una diffida a ripristinare lo stato dei luoghi, chiedendo la rimozione del cancello o della porta installata e, qualora tale diffida non dovesse sortire effetto, sarà utile che convochi un'apposita assemblea condominiale, per deliberare in merito all'inizio di un procedimento di mediazione e ad un'eventuale azione giudiziale tesa a far cessare la turbativa.
Fonte: www.condominioweb.com